sabato 30 maggio 2009

Peer education (educazione tra pari)

La "peer education", educazione tra pari, già utilizzata con successo nel mondo anglosassone per la prevenzione dell'infezione Hiv, da alcuni anni è adottata anche nel nostro paese, in particolare nel contesto scolastico. Si tratta di approccio articolato alla prevenzione che prevede una stretta integrazione tra adulti e ragazzi, tra informazione verticale e orizzontale, promuovendo pertanto un dialogo costruttivo tra le diverse generazioni.

E' una strategia educativa che vuole favorire la comunicazione tra adolescenti riattivando lo scambio di informazioni e di esperienze interni al gruppo dei pari. Attivare processi di "peer education", significa favorire lo sviluppo di competenze e consapevolezze fra gli adolescenti allo scopo di ridefinire ruoli e relazioni all'interno della scuola, e anche nella comunità, ricercando, peraltro, nuove forme di partecipazione giovanile.

giovedì 28 maggio 2009

Tutti abbiamo bisogno di educarci (giovani e adulti)

Tutti abbiamo bisogno di educarci; lo
dobbiamo fare sia per ritrovare noi stessi, sia
per aiutare chi, venuto dopo di noi, è ancora
alla ricerca di un’identità.
I giovani sono il nostro presente, non il nostro
futuro. Proprio perché sono il nostro
presente dobbiamo metterli ora nella
condizione di sviluppare la loro creatività e la
loro autonomia, ora nelle condizioni di
sviluppare un sano protagonismo. Non sono
recipienti, contenitori da riempire, ma
persone attive, con cui è importante
confrontarsi, produrre sapere, e che bisogna
accompagnare nel delicato passaggio dai
sogni alla responsabilità. I sogni
importantissimi – alimentano ideali, speranze,
utopie – ma devono trovare il modo di
tradursi in responsabilità, in progetti molto
concreti e reali.
Per questo mi piace anche ripetere che i
giovani non hanno bisogno di adulti perfetti,
modelli di sapienza e di virtù. Hanno bisogno
di adulti autentici e appassionati; adulti che
non dicano loro cosa fare ma che facciano
insieme a loro, che siano presenti senza
essere ingombranti, vicini senza essere
soffocanti, e che li sappiano ascoltare con
autentica disponibilità, senza ingabbiare le
loro domande in griglie di risposte generiche
e preordinate.
Adulti – soprattutto – che non abbiano mai
smesso di guardarsi dentro di sé con onestà
e fuori di sé con stupore, e che perciò hanno
nel cuore la stessa passione e la stessa
voglia di conoscere di quando erano loro a
muovere i primi incerti passi sul difficile
terreno della vita.

Luigi Ciotti

Educazione informale


È una parola fragile, educazione, una parola affaticata da un uso non sempre limpido e disinteressato. Una parola che chiede perciò di essere pronunciata con un po’ di riguardo, magari sottovoce, in modo che possano risuonare i suoi echi nascosti, le sue segrete risonanze. Il suono profondamente umano di una successione di lettere che evoca scoperte, stupori, esperienze.

Per essere rivitalizzata e restituita al suo significato più profondo, l’educazione deve essere liberata dalle costrizioni e dalle convenzioni.

Deve essere informale: libera di assumere forme di volta in volta diverse, adattandosi alle dinamiche imprevedibili dei rapporti umani, ai loro equilibri fatti di sintonie ma anche di malintesi, di aperture ma anche di chiusure.

Non più uno schema rigido che separa chi insegna da chi apprende, chi sa da chi ignora, chi è esperto da chi non lo è, ma un percorso a due che impone un reciproco educarsi e crescere insieme.

Luigi Ciotti

mercoledì 27 maggio 2009

Educarsi: le panchine sono di tutti

“LE SCIMMIE VERDI”

ovvero

un tal Daniele e un certo Hamid si scambiano gli abiti per tentare di capire se grattare la scapola di Naomi Campbell sia possibile, se ballare per strada sia pericoloso, se i neri vendano rose e i cinesi mangino i morti, se vi sia un colore sbagliato per la pelle, se le prostitute si riconoscano dalle dita dei piedi e... cosa diavolo siano le scimmie verdi.....

Daniele Barbieri e Hamid Barole Abdu portano in scena uno scambio di identità

«Le scimmie verdi» parla di identità, razzismo e conoscenza. Un vero scambio sperimentale di identità creato da Daniele Barbieri, giornalista [anche a Carta] e Hamid Barole Abdu, poeta e scrittore.
Se è vero, come si racconta in Africa, che «le orecchie attraversano i continenti» e che la capacità d’ascolto determina la conoscenza, è importante uscire dai propri confini non solo territoriali, ma soprattutto identitari: intraprendere un viaggio poetico, letterario, emotivo o semplicemente simpatico; nel senso di un sentire con… l’altro. Mettersi nei panni altrui in un contesto umano differente significa decentrare reciprocamente quelli che sono i punti di riferimento storici, politici, culturali e sentimentali; metterli in discussione, confrontarli con altri per rielaborare una percezione nuova e condivisa della realtà.
Come ci si sente l’uno nei panni dell’altro? un italiano [Daniele Barbieri] in un eritreo e un africano [Hamid Barole Abdu] in un europeo? I due si incontrano per strada, iniziano a parlare e si scambiano abiti e identità. Hamid inizia a parlare come Daniele o qualcuno che gli assomiglia: romano, un po’ nazionalista, non cattivo ma razzista senza saperlo e disturbato nel suo quieto vivere dall’incontro con la diversità. Daniele si identifica con un immigrato fiero della propria identità, pieno di dubbi e ogni tanto sbruffone. Le battute si alternano a discorsi seri: sarà pericoloso ballare per strada, è giusto grattare la scapola di Mandela [quella di Naomi Campbell è un’altra faccenda… a quale maschietto non piacerebbe?], esiste un colore sbagliato per la pelle? Il falso Hamid e il falso Daniele cercano di capire cosa diavolo siano le scimmie verdi e provano a inventare un linguaggio per discutere su razzismo, sicurezza, paura dell’altro, diffidenza.

tratto dal Comitato "Verona Città Aperta"
http://veronacittaaperta.blogspot.com/

martedì 26 maggio 2009

La pedagogia della tenerezza 2

"La pedagogia della tenerezza rappresenta un richiamo affinché nelle relazioni educative sviluppate da ogni pratica sociale ciò che afferisce all'affettività costituisca una componente obbligatoria nei necessari processi di umanizzazione della nostra condizione umana. In contesti di permanente violazione dei diritti umani, all'interno di configurazioni di culture di banalizzazione della vita, di violenza e di intolleranza, ossia in culture che allontanano dall'orizzonte della fraternità e della pace, si impone di rivendicare l'amore, e la sua espressione nella tenerezza, come un'autentica e necessaria virtù politica."

da Alejandro Cussianovich,
Corso a distanza "Pedagogia de la Ternura"
Lima, Perù
http://www.ifejants.org

Educarsi ed educare alle emozioni

Educarci alle emozioni, sì, educarci, perché la nostra tradizione razionalista poco ci ha abituati, insegnanti ed educatori compresi, ad ascoltarle. Il primi passo da fare è quello di accorgerci dell'emozione, poi imparare a “dare un nome” all’emozione che stiamo provando in quel preciso momento. Provate a farlo…non è facile. Ricorriamo spesso a forme generiche come “mi sono sentito male”, “questa cosa mi fa bene” e così via. Dare un nome all’emozione, “sono deluso”, “mi sento deprivato”, “quello che mi dici mi rende profondamente triste”. Riconosco l’emozione, mi guardo dentro, cerco di identificarla, darle un nome. Solo successivamente, dopo un po’ di esperienza sul campo e con me stesso inizio a comprenderla, fino ad imparare a gestirla. Le nostre giornate di lavoro e le nostre relazioni interpersonali sono sovraccariche di emozioni di cui spesso non ci rendiamo nemmeno conto. Nel suo bel testo Goleman ci parla dell’Intelligenza Emotiva. Un passo ulteriore, che dovrebbe far parte degli strumenti professionali di un insegnate e di un educatore, è quello di saper riconoscere le emozioni degli altri; nel caso di ragazzi dobbiamo anche apprendere ad accoglierle e a gestirle, nel senso di non farci prendere noi dall’emotività e accompagnare i ragazzi ad iniziare quel percorso di scoperta del sé emotivo che potremo definire educazione alle emozioni.

sabato 16 maggio 2009

La pedagogia della tenerezza 1

Educare a Gaza, così come con i ragazzi di strada di Bucarest o di tante altre metropoli in tutte le parti del mondo. Educare in luoghi di conflitto e di estrema sofferenza.
Lì solo la tenerezza può andare a pescare nella profondità del dramma dei cuori straziati e aprire uno spiraglio perchè il calore dell'umanità torni a farsi sentire.

venerdì 15 maggio 2009

Ciascuno cresce solo se sognato


C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo, ma cercando
d'essere franco all'altro come a sè,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

Danilo Dolci

Poeta, pedagogista e animatore di iniziative di pace (1924-1997)

mercoledì 13 maggio 2009

Omaggio a un grande educatore

Il commento di Ivan mi ha fatto pensare a don Lorenzo Milani, che ritengo uno dei più grandi educatori italiani. Pensando a lui, come possono risuonare termini come responsabilità ed etica nell'educazione? Ma si tratta di responsabilità ed etica che vengono ancor prima dell'educazione, che la scelgono come opzione di impegno civile. Nel totale rispetto del suo essere stato uomo di fede, mi colpiscono la laicità dei suoi valori e del suo operato, l'umanità profonda, la determinazione nell'impegno educativo a favore dei suoi ragazzi. Valori e azioni che possono essere condivisi da tutti.
L'etica fondamentale che guidava Lorenzo e che proponeva ai suoi ragazzi di Barbiana era quella del prendersi cura, del farsi carico degli altri, soprattutto degli ultimi, e della realtà che ci circonda, il famoso "I care".

"L'educazione è diventata una delle questioni più urgenti del nostro tempo. Le istituzioni a essa tradizionalmente preposte, la famiglia e la scuola, subiscono sollecitazioni che ne mettono in forse la tenuta e il valore, ma sono i modelli culturali e identitari di un'intera società a mostrarsi sempre meno capaci di dare un orientamento ai singoli individui, soprattutto ai più giovani. In questa emergenza, l'alternativa concreta non è respingere le contraddizioni che stringono da ogni lato l'educazione in nome di qualche teorema o di qualche ricomposizione illusoria, bensì viverle e capirle nelle loro ragioni, cercando di trarne risorse impreviste e nascoste. Questa è stata l'esperienza educativa di don Lorenzo Milani: l'attenzione per i dimenticati, per gli ultimi, si è rivelata la più grande forza in grado di conferire dignità e significato all'essere umano, stimolandone la creatività e la volontà di riscatto. Educare si può se si guarda in faccia la realtà, una realtà composta da altre facce, da altri esseri umani desiderosi come noi di essere riconosciuti."

Fonte: http://www.libreriauniversitaria.it/contraddizione-virtuosa-problema-educativo-don/libro/9788815121806

sabato 9 maggio 2009

Educare: presunzione e responsabilità.

Voler educare qualcuno presuppone la presunzione di avere qualcosa di importante da "trasferire" e che si ritiene in qualche modo non solo utile, ma indispensabile per la crescita e lo sviluppo dell'altro. Io ho dei VALORI che ritengo importanti non solo per me, ma anche per la società e, quindi, anche per TE. Io ho una visione del BENE che voglio che diventi anche la tua. Non possiamo sottrarci a questo presupposto: l'educare è indubbiamente un atto di presunzione! Quando mi relaziono con i miei ragazzi a scuola parto da una mia particolare (nel senso "di parte", partigiana) concezione del Bene per me, per loro, per la comunità. Eppure questa presunzione diventa irrinunciabile, è un rischio doveroso, non vi è altra strada aperta all'adulto che si voglia confrontare con la questione della sua relazione con il mondo, con gli altri e, di conseguenza, anche con i ragazzi che esistono, ci sono e crescono. Mi pare, allora, che la sfida dell'educazione nasca come atto di responsabilità da parte di una comunità adulta che si pone il problema della propria relazione con i più giovani. Nella consapevolezza di essere portatori, pur in buona fede, di una visione parziale del mondo. E la parzialità ha bisogno degli altri per farsi interità.