Educarci alle emozioni, sì, educarci, perché la nostra tradizione razionalista poco ci ha abituati, insegnanti ed educatori compresi, ad ascoltarle. Il primi passo da fare è quello di accorgerci dell'emozione, poi imparare a “dare un nome” all’emozione che stiamo provando in quel preciso momento. Provate a farlo…non è facile. Ricorriamo spesso a forme generiche come “mi sono sentito male”, “questa cosa mi fa bene” e così via. Dare un nome all’emozione, “sono deluso”, “mi sento deprivato”, “quello che mi dici mi rende profondamente triste”. Riconosco l’emozione, mi guardo dentro, cerco di identificarla, darle un nome. Solo successivamente, dopo un po’ di esperienza sul campo e con me stesso inizio a comprenderla, fino ad imparare a gestirla. Le nostre giornate di lavoro e le nostre relazioni interpersonali sono sovraccariche di emozioni di cui spesso non ci rendiamo nemmeno conto. Nel suo bel testo Goleman ci parla dell’Intelligenza Emotiva. Un passo ulteriore, che dovrebbe far parte degli strumenti professionali di un insegnate e di un educatore, è quello di saper riconoscere le emozioni degli altri; nel caso di ragazzi dobbiamo anche apprendere ad accoglierle e a gestirle, nel senso di non farci prendere noi dall’emotività e accompagnare i ragazzi ad iniziare quel percorso di scoperta del sé emotivo che potremo definire educazione alle emozioni.
Concordo pienamente. Non è facile ma si può fare.
RispondiEliminaL'"educazione alle emozioni" per molti aspetti è più importante dell'"educazione alle nozioni". Le nozioni in qualche modo si trovano se si ha un metodo, molto più complicato è gestire le emozioni se non si è abituati! La scuola che fa spesso? Tutto il contrario ovviamente!